La rappresentazione della ferocia come condanna della discordia

 

1440, 29 Giugno. Nei dintorni del ponte che attraversa la reglia dei mulini, sulla strada diritta che corre sotto le mura di Anghiari e che conduce a Borgo Sansepolcro, vi è una lotta fra cavalieri milanesi e fiorentini per la disputa dello stendardo visconteo. Il fatto venne dipinto dalla bottega di Apollonio di Giovanni attorno al 1450 e verrà raffigurato in seguito, nei suoi tratti storici, dalla Battaglia di Anghiari di Leonardo Da Vinci, ideata negli anni 1503-1506. L’azione storica di quella giornata è immortalata dalla posizione del Niccolò Piccinino che, sopra il cavallo, protende il braccio destro sopra di sé a formare un arco, un movimento fissato sia dall’Apollonio che da Leonardo Da Vinci. Una lotta in cui cadono circa settanta uomini secondo Neri Capponi, il commissario dei fiorentini presente in battaglia, ma dove si fa grande il bottino fra materiali e prigionieri. Non è quindi la battaglia in cui morì un solo uomo, come riportato da Machiavelli nelle Istorie fiorentine.

Tramite l’opera di Leonardo Da Vinci questo fatto di guerra quattrocentesco fra cavalieri di ventura italiani è divenuto il riferimento di tutte le rappresentazioni di lotta fra cavalieri. La battaglia leonardesca diviene un archetipo, anche morale, per rappresentare la viva crudezza delle scene, come a voler condannare la pazzia bestialissima della discordia.

 

 

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