Federigo Nomi e Francesco Redi

 

“Ma caro Sig. Federigo, ma quanto mi ha conturbato quel periodo della sua lettera (…). Vorrei vederla consolata. E glielo dico con tenerezza di cuore amoroso, e di cuore d’un amico come son io, che sono il più antico ch’ella abbia”
 
Così Francesco Redi (Arezzo, 18 febbraio 1626 – Pisa, 1 marzo 1697) risponde ad un affranto Nomi dopo le sue forzate dimissioni da Rettore del Collegio Ducale della Sapienza di Pisa a causa del “rissoso, pieno di sé, e senza scrupoli” Giovanni Andrea Moniglia (Firenze 1624-1700), reo quest’ultimo di un vergognoso discacciamento di Federigo e che si inserisce in un’atmosfera di accuse reciproche che vedono contrapporsi galileisti e aristotelici nell’ambiente universitario pisano. 
La fitta corrispondenza che Nomi intesse, soprattutto durante il suo “esilio” a Monterchi, dove ricopre la carica di Pievano (1682/1705), con le personalità accademiche più influenti del tempo in Toscana, ad esempio con Magliabechi e con Redi, assume con quest’ultimo un rapporto quasi filiale: “tutto quello, e quanto di buono possa dalla mia mente provenire, tutto, tutto ha origine da V.S. Ill.ma, che mi ha dato l’esser da qualcosa coll’aiuto, col consiglio, coll’esempio (…)” 
Stima, reciproca, che viene spesso espressa da Francesco Redi nelle lettere che gli indirizza: (…) Mi voglia bene. E mi creda per sempre. (…).

 

 

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