La vita militare del Quattrocento, legata alle commesse delle varie città, Signorie e Corti d’Italia, sviluppò un ceto di uomini d’armi che formavano un dinamico ambiente legato da interessi comuni e in cui il “cambio di bandiera” era spesso concordato e licenziato dal committente. Questo, già inconcepibile per i cronisti del Seicento, viene però accettato con la ragione del “perché così portavano i tempi e gl’oblighi che per allora far si dovesse” . Ciò non significa altresì che il sistema militare delle “commesse” quattrocentesche fosse esente dall’aspetto di fedeltà: lo dimostrano alcuni episodi dei capitani anghiaresi, fra di essi quello di Gregorio di Vanni il cui procuratore Giusto Giusti, nel mandarlo al soldo con i Genovesi o con i Veneziani spesso chiede il permesso ai Fiorentini. Sempre nelle gesta di Gregorio di Vanni vi è il seme del declino del mestiere delle armi italiano. Gregorio già nel 1450 era “tanto ingordo nelle paghe che non trovava hormai più alcuno che lo volesse et era fatto quasi esoso a tutti”. Già con il tardo Quattrocento la presenza sempre più importante dei mercenari tedeschi e stranieri al soldo dei nascenti regni nazionali europei, sfociata nel sacco di Roma del 1527, ebbe come conseguenza diretta l’indebolimento del condottiero italiano, considerato, con il progredire di interessi politici sempre più centralizzati, dinastici e organizzati, poco affidabile e molto costoso. La figura dell’uomo d’armi quindi si trasforma, diviene cortigiano, entra di diritto a far parte del sistema di potere ed accresce il proprio prestigio tramite la partecipazione alle attività della corte. La trasformazione è avvenuta, il successo sociale è raggiunto. Il conestabile quattrocentesco, a volte di umile nascita, ha dato vita al suo progressivo affrancarsi dalla condizione di origine, spesso portando la sua famiglia alla ricchezza e al prestigio.
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